di Anna Riemer

“Ma come mai sei rimasta in Italia, Mama?” dice una voce giovane femminile proprio a fianco a me, appena salgo sull’amaca in terrazzo, per continuare a scrivere il mio nuovo romanzo rosa.

Inizialmente mi volto un po’ infastidita, perché penso di avere finalmente un po’ di pace per poter immergermi nella scrittura, ma mi calmo immediatamente appena vedo il viso curioso di mia figlia. “Roberta, vuoi davvero sentire questa storia lunghissima?” chiedo alla bambina, la quale fa un cenno entusiasta. Non ho neanche il tempo di finire la frase che già sorrido vedendo quanto lei sia felice. “Allora Roby: dai mettiti seduta qui!” le faccio posto dopo aver chiuso il PC e ci accomodiamo insieme sull’amaca, ammirando l’incantevole vista sul mare.

“Vedi…Vedi il mare che il tramonto ha dipinto d’arancione? Senti il suono delle onde, che si infrangono sugli scogli? La gente che parla italiano in lontananza? Senti l’aria calma e calda sulla pelle, il canto delle cicale, in questa notte d’estate?” Inizio a raccontare la mia storia, ma mi fermo un attimo per guardare mia figlia, prima di ammirare di nuovo il panorama, senza rendermi conto di essermi improvvisamente estraniata dalla realtà. “Sì, lo vedo benissimo!” mi risponde subito la mia piccola con un grande sorriso, i suoi occhi pieni di curiosità, mentre ha deciso di accoccolarsi vicino a me e di guardarmi dritto negli occhi. “Tutte queste cose mi hanno convinta a restare in Italia.” spiego, mentre mi volto verso di lei. “Però Österreich è bella” mi interrompe la bambina un po’ dubbiosa.

“L’Austria è bella, hai ragione! Ma per me, l’Italia è ancora più bella! Roby, non si interrompe la gente così, mentre sta parlando, come ti ho già spiegato! Vuoi sentire la storia di mamma, oppure no?” le chiedo sorridendo, mentre con la mano destra le accarezzo i capelli. “Sì! Voglio sentirla!” risponde Roberta prima di rimanere in silenzio ad ascoltarmi. “Va bene! Devi sapere che mamma non ha vissuto sempre in questa regione.

Tutto ebbe inizio nell’ottobre del 2020. In quell’anno ci fu una pandemia causata da un virus, chiamato COVID-19, detto anche “Corona”, tradotto in tedesco “Krone”.

WhatsApp Image 2021-08-25 at 18.16.02Così come tutt’ora, questa malattia era diffusa in tutto il mondo, ma allora non sapevamo bene cosa fare per affrontare quella che si rivelò essere una vera e propria emergenza sanitaria. O meglio, sapevamo cosa fare, ma non ci siamo riusciti. Ad ottobre 2020 non si era ancora trovato un vaccino, non venivano fatti abbastanza tamponi…Comunque, tornando alla mia storia, sono partita in treno da Graz per raggiungere Roma.

Alle 23:17 di sera arrivai finalmente alla stazione di Porta Romana a Viterbo.

Era già buio e l’unica cosa che mi era stata comunicata era che il mio mentore, una donna, mi avrebbe aspettato per consegnarmi le chiavi dell’appartamento, sia le mie, sia quelle dei miei coinquilini, i quali sarebbero dovuti arrivare il giorno seguente dall’Inghilterra e dalla Spagna.

Sai, fui la prima ad arrivare in Italia, ed ero anche la più giovane, avendo solo vent’anni all’epoca. Ma non avevo paura. Assaporai per la prima volta cosa significasse davvero sentirsi libera!

Ho sempre voluto vivere in Italia e per me fu come un sogno divenuto realtà! Come ti ho già detto, gli altri coinquilini arrivarono il 31 ottobre.

Per una settimana fu necessario stare in “quarantena”, potemmo uscire solo dopo aver ricevuto l’esito negativo del test per il COVID-19. In quei giorni andammo in giro per Viterbo per esplorare quella che sarebbe diventata la nostra città per un interno anno.

Dopo quasi 2 settimane iniziammo a lavorare nella fattoria. Lì ci occupammo di diverse mansioni, tra le quali il raccolto e la “Prima gamma”, ossia nel tagliare le verdure e imbustarle per la vendita in negozio. Col passare del tempo, vi furono due nuovi progetti lavorativi: il centro disabili a Tarquinia, dove lavorammo con persone disabili, e devo dire che quella fu in assoluto la mia attività preferita, e il centro per accoglienza immigrati a Viterbo.

A dicembre arrivarono anche gli ultimi coinquilini. Una gerogiana e un palestinese. Tutti quanti pensavamo che sarebbe andato tutto bene, ma purtroppo ci fu un altro lockdown a Natale e Capodanno. Nonostante il Coronavirus iniziammo un nuovo progetto: l’osteria ad Acquapendente. Il 7 gennaio ricominciammo a lavorare e la situazione migliorò da quel momento. Iniziammo a viaggiare per esplorare la regione Lazio e dopo il primo maggio fu possibile spostarsi tra le varie regioni, cosa che facemmo appena fu possibile…” inizio a raccontare, ma mi perdo nei miei pensieri mentre spiego a mia figlia com’è stato viaggiare e scoprire il Bel Paese.

All’improvviso mi ritrovo a pensare a tutti i viaggi che ho fatto con i miei coinquilini o in solitaria. Iniziando con Orvieto in Umbria, seguito da Siena in Toscana, prima di ritornare in Austria per ricevere la prima dose del vaccino. “Mama? Mama mi senti?” chiede Roberta quasi infastidita, perché mi sono persa nei miei pensieri ancora una volta e non ho ascoltato la sua domanda. “Sì, sì…ti ho sentita!” rispondo in fretta, senza però sapere cosa mi abbia detto. “E allora perché non hai risposto alla mia domanda? Sai che ti ho chiesto?” lei ribatte, prima di guardarmi negli occhi con aria di sfida. “Che hai detto amore?” le chiedo mentre passo le dita fra i suoi capelli castano scuro.

“Nei tuoi viaggi…hai incontrato papà?” mi chiede sorridendo dolcemente prima di chiudere gli occhi per un attimo, cominciando ad essere stanca. “No tesoro, non ho incontrato papà durante i miei viaggi. L’ho incontrato dopo il progetto “Erasmus +”. E credo che ora, signorina, dovresti andare a nanna!” sussurro a Roberta prima di alzarmi e prenderla per mano per rientrare in casa. “Ma anche io da grande posso fare il servizio civile europeo?” mormora mia figlia ormai nel mondo dei sogni.

“Potrai farlo tranquillamente, angelo mio, e noi ci saremo sempre per sostenerti in tutte le tue scelte! Ma adesso dormi. Sei molto stanca. È stata una lunga giornata. Ti voglio bene.” sussurro prima di darle un bacio sulla fronte.

Rimango ancora qualche istante ad osservala dormire nel suo lettino, domandandomi cosa stia sognando. Nella mia mente scorrono veloci frammenti di ricordi ancora cristallizzati nella memoria: la felicità e la gratitudine negli occhi di coloro che avevano lasciato il proprio paese con la speranza di un futuro migliore, le mattine passate nei campi ad occuparci del raccolto, le risate tra noi ragazzi, la soddisfazione dopo una giornata di lavoro, il cuore pieno di gioia per aver aiutato persone diversamente abili con piccoli gesti e aver regalato loro dei momenti di svago con varie attività ricreative, i viaggi in treno, quasi sempre pianificati all’ultimo minuto, passati ad ammirare i paesaggi mozzafiato delle campagne italiane, la colazione con cornetto e cappuccino al bar, fare jogging tra i paesini di Viterbo, dove la vita scorre immutata nel tempo, scandita da un ritmo lento, tipico dei piccoli borghi italiani.

Per un attimo è come se fossi altrove, indietro nel tempo, nell’estate del 2021, giovane e libera, con tanti sogni nel cassetto, orgogliosa di aver preso parte ad un progetto che mi fece crescere così tanto in così poco tempo, e grata alla vita per l’opportunità che mi fu data e che decisi di vivere a pieno.

Mi lascio cullare dalla dolcezza dei ricordi.

Una folata di vento caldo entra della finestra e mi riporta alla realtà, spengo la luce ed esco dalla stanza.